Meeting Lab AIHC 2022: “Health Coaching e Terzo Settore”

Intervista a Rino Sciaraffa e Paolo Pensa per parlare di un bellissimo ed utile connubio tra Health Coaching ed Organizzazioni del Terzo Settore.

Sabato 8 ottobre 2022, presso il Circolo dei Lettori in Via Bogino, 9 a Torino, si è tenuto il Meeting-Lab dell’Associazione Italiana Health Coaching (AIHC), evento a livello nazionale con tema:

“Health Coaching come approccio sistemico nei contesti sociali: per l’empowerment e il benessere dei cittadini”.

Parlare di Health Coaching nei contesti sociali spalanca una porta grandissima all’impiego che di questa metodica si può realizzare in collaborazione con le Organizzazioni che fanno parte del Terzo Settore.

Il Terzo settore esiste da decenni ma è stato riconosciuto giuridicamente in Italia solo con la Legge delega 106/2016 che così lo definisce: “Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.

Gli ambiti in cui le Organizzazioni di Terzo settore possono operare sono realmente molto diversificati e vanno dall’animazione culturale, al tema dell’ambiente, ai Servizi sanitari e socio-sanitari, all’assistenza alle persone con disabilità, ecc.

Rappresentanti di questo benemerito settore, all’interno del Meeting Lab AIHC 2022, sono stati:

  • Paolo Pensa, Presidente ‘Le tre rose Rugby- Onlus’ che promuove il recupero dei giovani emigrati ed emarginati con il Progetto di Inclusione attraverso lo Sport del Rugby;
  • Rino Sciaraffa, Referente AIHC, Responsabile Area – Compassion Italia presso Compassion Italia Onlus ed è esperto in gestione del no-profit e formazione collaboratori per il fundraising.

La nostra domanda a Paolo Pensa è:

Il rugby, a torto, viene considerato violento da chi non ne conosce principi e regole ma sappiamo che è uno sport in cui si insegnano, innanzi tutto, rispetto per gli altri e disciplina. Ogni giocatore ha un suo ruolo ed una precisa funzione e solo l’armonizzazione dei vari ruoli e dei vari reparti può far diventare vincente la squadra. Con queste premesse, risulta evidente quanto praticare questo spettacolare sport possa aiutare i ragazzi a crescere e ad imparare a ‘fare gruppo’ con gli altri. Visto che la sua attività poggia su molti anni di esperienza, può dirci quali risultati ha ottenuto?

“Aver inserito dei ragazzi esclusi dalla vita normale, emarginati nei campi di accoglienza a non fare nulla, ha permesso agli stessi di inserirsi con più facilità nella realtà locale, di conoscere coetanei italiani, come persone “uguali”, il confronto tra culture differenti, l’occasione di farsi conoscere e, successivamente, di trovare lavoro ed una casa ”.

Secondo Lei, quale è il contributo che l’Health Coaching può apportare al progetto di recupero dei giovani da Lei seguito?

“Il contributo che può apportare l’HEALTH coaching è proprio quello descritto, il cammino per farsi conoscere dall’ “altro”, come persone “uguali”, per un giusto inserimento in una nuova società, pur arrivando da culture differenti: ricordo sempre che, il primo anno, andando ad incontrare le altre squadre, mi dicevano; ”che bella cosa che fai”, dall’anno successivo; ”che bravi ragazzi che sono ”.

 

A Rino Sciaraffa che è esperto nella formazione rete collaboratori e volontari, motivazione della squadra di lavoro, gestione delle relazioni interne al comitato direttivo ed ai volontari, chiediamo:

Quali sono le fasi dell’organizzazione di un team di lavoro nelle no-profit e quali devono essere le caratteristiche di un buon Coach?

“La formazione di un team di lavoro è operazione che richiede passaggi primari e secondari.

La prima azione da fare è l’analisi del clima organizzativo di una struttura. Non tutte le strutture sono uguali e nemmeno sono tutte uguali le persone che ci lavorano. Come è risaputo nel coaching diciamo che: ogni essere umano ha due orecchie ed una sola bocca e dobbiamo saperle utilizzare proporzionalmente come “natura insegna”.  

L’errore più comune è quello di preconfezionare soluzioni “per ogni stagione” e per ogni gruppo di lavoro. Il mio mestiere prevede che si debba poter coinvolgere tutto lo staff e gli organismi interni alla no-profit in un percorso di analisi dei flussi decisionali, organizzativi e anche del problem solving. Questa fase di studio non è da confondere con l’organigramma o con il semplice “who do what”. È un lavoro che implica l’ascolto di ogni processo organizzativo in essere, prendere in esame eventuali criticità e determinare i famosi “colli di bottiglia” operativi.

Il Coach si mette a fianco delle persone e non sopra le persone prefabbricando per loro soluzioni che magari, alla lunga non sentono nemmeno proprie o percepiscono come imposte dall’alto.

Altro aspetto importante, in una no-profit, è determinare come gli ambiti organizzativi sono presi in esame dal Consiglio Direttivo. L’intento è, nelle rispettive competenze e professionalità, di creare sinergie significative fra i diversi apparati e soprattutto analizzare come avvengono presi in esame le criticità, le prospettive, analizzati i risultati, socializzati gli elementi di successo etc.

Il mio mestiere serve a creare flussi comunicativi ed orientati a costruire e sistematizzare tre elementi importanti: gestione delle informazioni, inoltro di feedback e processi di follow up.

Tutto questo è solo la prima fase del mio lavoro ma è quella che determina tutto il proseguo della formazione.

La seconda parte non è meno semplice perché prevede che il team di lavoro possa assimilare compiutamente una riorganizzazione interna poiché gran parte delle persone sono sempre resistenti al cambiamento, privilegiando una “confort zone”, seppur con problematicità, che non cambiamenti proattivi ad un lavoro migliorativo.

Entrambe le fasi sono molto delicate e richiedono, dal bravo Coach, capacità di ascolto verbali e non verbali, condividere e proporre soluzioni, agire con strumenti di persuasione all’interno di tutto il team e abituare al cambiamento organizzativo”.

Cosa spinge al cambiamento e quale dev’essere il ruolo del Coach?

“Questa è una domanda dei classici 100 milioni di dollari! Nessuno motiva nessuno e ciascuna persona, all’interno di una qualsiasi organizzazione ha motivazioni, aspirazioni, obiettivi e prerogative diverse. Talvolta è difficile aiutare le persone singolarmente, figuriamoci se queste sono più di due.

Diciamo che uno dei presupposti motivazionali al cambiamento, non è trasferire un generico miglioramento delle condizioni operative. Devi aiutare il team di lavoro nello sforzo del cambiamento e questo per molti è demotivante a prescindere.

Spesso i libri di Coaching hanno le classiche citazioni celebri, le frasi ad effetto o innumerevoli highlights, ottimi strumenti per illuminare al momento, ma è solo con certosina pazienza e con forza persuasiva che le persone possono trovare in se stesse le giuste prospettive.

Non potremmo mai pensare il nostro lavoro di Coach se non fossimo realmente interessati a conoscere le persone e non potremmo mai conoscere le persone se non riusciamo a trasmettere fiducia. Nella mia esperienza lavorativa investo tanto tempo nel creare la fiducia. Fiducia all’interno del team e fra i vari colleghi, oltre che la fondamentale fiducia del gruppo di lavoro verso il Coach.

Mai apparire i Guru della situazione e nemmeno gli infallibili mentori, questo talvolta non genera fiducia, anzi, può apparire come tracotanza e presunzione.

Posso dire che esiste una sorta di piramide di Pareto nel mio percorso di coaching: l’80% del mio lavoro è generare la fiducia, il 20% pensare ai processi. La motivazione di un team si genera se fra loro esiste la consapevolezza che il successo è sempre una questione di lavoro di squadra e che dalle crisi organizzative si esce solo insieme e non creando solchi operativi e comunicativi. La fiducia si genera se le persone hanno il coraggio di confrontarsi ed imparano ad ascoltarsi.

Purtroppo il grande problema è che spesso non siamo capaci ad ascoltarci e costruire esercizi pratici di ascolto attivo aiuta moltissimo.

Non vorrei dilungarmi troppo, ma ritengo che il Coach è colui che genera fiducia all’interno del gruppo che sta curando e la fiducia è il primo anello di congiunzione tra il pensare e l’agire”.

Ringraziamo sentitamente Paolo Pensa e Rino Sciaraffa per il tempo che hanno voluto dedicarci.

 

Nicoletta Viali – Ufficio Stampa e Comunicazione AIHC –