AIHC: il tempo della cura.

Meeting Lab 2023 AIHC: “Lavorare con l’Intelligenza Emotiva e la Mindfulness”. Relatrice: Dott.ssa Maria Vittoria De Girolamo

Grazie ai suoi studi ed alla lunga esperienza fatta ‘sul campo’, M.V. De Girolamo ha accompagnato gli astanti in un percorso molto interessante alla scoperta di quanto un giusto approccio alla Mindfulness e all’Intelligenza Emotiva è utile, non solo per il cliente ma anche per l’Health Coach.

Sabato 28 Ottobre 2023, presso l’Hotel Montebello Splendid, in Via Garibaldi, 14 a Firenze, si è svolta la seconda edizione del Meeting-Lab dell’Associazione Italiana Health Coaching (AIHC), evento annuale a livello nazionale, con tema: “L’Health coaching per la promozione del benessere personale e professionale”.

L’intervento dal titolo “Lavorare con l’Intelligenza Emotiva e la Mindfulness” in programma, è stato tenuto dalla Dott.ssa Maria Vittoria De Girolamo, Healthcare Coach professionista ICF/ACSTH, EQ Coach Assessor, Trainer in Intelligenza Emotiva per i professionisti sanitari, pazienti e caregiver e Facilitatrice Mindfulness, con la finalità di offrire un duplice approccio, con la Mindfulness e l’intelligenza emotiva, da integrare in un percorso di coaching per migliorare la comunicazione nell’equipe, la motivazione, l’autostima, la fiducia in se stessi e superare le fasi di burn-out.  

Mindfulness è un termine che si traduce con ‘consapevolezza nel momento presente’ quindi Le chiedo: in che modo la consapevolezza delle proprie emozioni può aiutare a sviluppare la propria l’Intelligenza Emotiva?

“Per rispondere a questa prima domanda, partirei proprio dal definire meglio che cos’è la Mindfulness, iniziando dalla sua radice etimologica: “Mind”, mente e “Fulness”, pienezza, quindi questa pienezza della mente, o piena consapevolezza, la si esercita partendo dall’ascolto di sé stessi, delle proprie emozioni e di quel mondo interiore di cui siamo fatti! La bellezza e peculiarità della Mindfulness è che l’ascolto di sé avviene attraverso uno strumento che conosciamo fin dalla nascita, ma che utilizziamo solo meccanicamente, ovvero il nostro respiro, che, nella Mindfulness, diventa respiro consapevole. Ora, per spiegare meglio questo passaggio, quindi passare dalla respirazione involontaria alla respirazione consapevole, è necessario definire meglio la Mindfulness attraverso due autori e studiosi autorevoli, che in questo campo rappresentano la corrente moderna di questa disciplina antica e millenaria, le cui origini derivano dalla meditazione buddista.

La prima definizione è di Jon Kabat Zinn (biologo e scrittore statunitense, professore universitario della University del Massachusetts Medical School, insegnante di Mindfulness e fondatore del protocollo M.B.S.R.)  che afferma:

“La Mindfulness è consapevolezza che si coltiva esercitando l’attenzione in una modalità intensa e peculiare, ossia con intenzione nel momento presente e senza attitudine giudicante” (J.B. Zinn, “Mindfulness per principianti”, 2014).

La seconda è del monaco buddista Thich Nhat Hanh (candidato al premio Nobel da Martin Luther King nel 1967 ed autore di numerosi libri), che afferma:

“Inspirando, calmo il corpo. Espirando, sorrido. Prendendo dimora nel momento presente. So che è un momento meraviglioso” (T. N. Hanh, “Respira! Sei vivo”, 1994).

Punti in comune di queste due definizioni sono il momento presente, il qui ed ora, in cui si pone attenzione al nostro corpo e al nostro respiro, a tutto ciò che percepiamo grazie ad esso, ma con animo accogliente, non giudicante, non critico, con gratitudine e con gentilezza, accogliendo quello che c’è in quel preciso istante facendo fluire gli stati d’animo con il mio respiro. E’ questa la potenza della Mindfulness: il ponte di collegamento con l’intelligenza emotiva è dato proprio dalle nostre emozioni che per essere meglio percepite, riconosciute e fatte anche fluire dentro di noi vedono nella respirazione consapevole il giusto canale e risorsa per affrontare al meglio certe emozioni che alcune volte ci destabilizzano, ci bloccano, come la paura, l’ansia, la tristezza o la rabbia. Se l’intelligenza emotiva è quello scrigno che rappresenta la capacità interpersonale di mettere in equilibrio la parte razionale e la parte emotiva di cui è fatto il nostro cervello, la Mindfulness rappresenta la giusta chiave per aprire questo scrigno che contiene le gemme preziose che sono le nostre emozioni! Volevo inoltre aggiungere che la potenza della pratica della Mindfulness risiede nel fatto che la posso esercitare in qualsiasi momento della giornata (pratica informale), durante le mie attività quotidiane (come mangiare, lavarsi, camminare, fare la spesa, ecc) e in modo particolare anche quando lavoro, ad esempio in ufficio quando  sono seduta al computer e sento assalirmi un momento di carica emotiva, oppure in corsia dove il carico emotivo è molto elevato ( e mi rivolgo ai colleghi Infermieri di cui condivido stati d’animo ed emozioni avendo lavorando anch’io in corsia come Infermiera per quasi trent’anni)… basta fermarsi quei cinque minuti per respirare consapevolmente, far fluire il carico emotivo che ci assale e ripartire con più energie e motivazioni. La pratica formale rientra invece in un approccio più strutturato che rientra nel protocollo Mindfulness Based Stress Reduction, studiato e convalidato da Jon Kabat Zinn, la cui efficacia sulla riduzione dell’ansia e dello stress  è documentata da evidenze scientifiche, risultando efficace nella riduzione degli stati ansioso-depressivi come nella sindrome post traumatica da stress (come nei reduci delle guerre) o nei pazienti con patologie croniche ( pazienti diabetici ed oncologici).

Il protocollo M.B.S.R. prevede incontri di Mindfulness almeno per otto settimane a cadenza settimanale, con meditazioni di respirazione consapevole dalla durata di 15 minuti (per i primi incontri) fino ad arrivare gradualmente a 45 minuti, con sessioni guidate da un professionista docente abilitato alla pratica della Mindfulness. Oltre a questo, la persona che decide di affrontare un percorso Mindfulness che rientra in questo protocollo dovrà integrare anche l’approccio Mindfulness di tipo informale tutti i giorni, accompagnati da esercizi di Hata Yoga, adottando uno stile di vita sana (no fumo, no alcol, svolgere regolare attività fisica) e modificando anche la propria alimentazione. Il protocollo è di otto settimane perché è stato scientificamente dimostrato che in questo intervallo di tempo, grazie alla respirazione consapevole insita nella Mindfulness, avvengono delle modifiche importanti nel nostro cervello; essendo un organo plastico, con il praticare la gentilezza, avere un atteggiamento non giudicante con noi stessi, rimanendo concentrati nel momento presente, coltivando pensieri benefici e buone intenzioni, il cervello stesso di modella in comportamenti salutari. Per concludere questa prima domanda è necessario tenere presente che qualità come la gentilezza e la compassione vanno considerate alla stregua delle altre competenze trasversali o soft skills e la Mindfulness aiuta a potenziarle, migliorando la nostra vita”.

Una volta che abbiamo preso consapevolezza delle nostre emozioni, come possiamo gestirle in modo sano e costruttivo?

“Per gestire al meglio le nostre emozioni, dobbiamo imparare a riconoscerle, a nominarle, a non reprimerle, a farle fluire, ma nel farle fluire è indispensabile saperle gestire in modo costruttivo e salutare in primis per noi stessi. Per fare questo, ci viene in aiuto la nostra intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva è quella capacità interpersonale che, se allenata costantemente, ci permette di creare un equilibrio tra la parte razionale ed emotiva del nostro cervello. Tutti la possediamo, ma non tutti ne hanno consapevolezza, né sanno come allenarla. Fin da piccoli, e questo è una prerogativa della nostra cultura occidentale, le norme educative ci hanno abituato che non dobbiamo piangere quando siamo tristi, per non apparire deboli, che non dobbiamo mostrare paura quando siamo spaventati, per sembrare più forti. Alcuni modelli educativi dovrebbero essere rivisti e se un bambino ha voglia di piangere non deve sentirsi dire “Non devi piangere perché sei maschio e perché sei brutto!” percependo quindi la cosa come se fosse un sintomo di debolezza e reprimendo così le sue emozioni; stessa cosa per le bambine che possono piangere, perché tanto è da femminucce! Quello che manca è una vera educazione emozionale ed un’alfabetizzazione emotiva, da iniziare fin da piccoli, scardinando alcuni concetti educativi che ormai sono sorpassati e soprattutto pericolosi, poiché un bambino che reprime le sue emozioni, sarà un adulto problematico. Ma ritornando alla nostra Intelligenza Emotiva, essa prende piede verso la fine degli anni ’90 negli Stati Uniti, grazie a tre emeriti studiosi: i primi due sono John Mayer e Peter Salovey, amici, colleghi e docenti di psicologia che per primi coniarono questo termine in un articolo pubblicato nel 1987 definendola come:      

l’abilità di identificare le emozioni, di accedere e utilizzare le emozioni in modo da assistere il pensiero, comprendere le emozioni e la pratica emotiva e gestire riflessivamente le emozioni così da promuovere la crescita”.

Qualche anno più tardi, David Goleman, riprendendo  gli studi dei due autori, ha ideando un suo modello per sviluppare ed allenare l’ intelligenza emotiva: la definizione che lui dà di intelligenza emotiva è del 1996, tratta  proprio dal suo best seller : “è la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e di rimandare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, ed ancora la capacità di essere empatici e di sperare”. Autore di numerose pubblicazioni sull’intelligenza emotiva, Daniel Goleman traccia un modello caratterizzato da quattro competenze emotive:    

1) conoscere le proprie emozioni (autoconsapevolezza di sè);

2) gestire le proprie emozioni e motivarsi (gestione di sé);

3) riconoscere le emozioni degli altri (consapevolezza sociale);

4) gestire i rapporti interpersonali (gestione delle relazioni).

Il primo rapporto sano e costruttivo, lo dobbiamo instaurare con noi stessi, in quanto questo legame è un processo che ci accompagnerà per tutta la vita; iniziare quindi ad accogliere con gentilezza tutte le nostre emozioni, a nominarle e ad esternarle, ci aiuta a costruire questo rapporto sano e costruttivo con il nostro Io interiore. Esternare le nostre emozioni vuol dire anche esprimere un nostro bisogno, una nostra necessità, una nostra opinione, l’effetto contrario è che, se a lungo andare questo bisogno emotivo non viene espresso (quante volte ci diciamo “Eh vabbè, non fa niente!”, “Meglio lasciare perdere, tanto è inutile”, oppure “Mi vergogno ad esprimere il mio stato d’animo o la mia opinione perché chissà gli altri cosa pensano di me, e se poi risulto antipatica?”), si ripercuote sul nostro benessere psico-fisico, con conseguenze fisiche (come ad esempio nelle malattie psico-somatiche, con sintomi come l’insonnia, disturbi gastro-intestinali, ansia causate sa un sovraccarico emotivo che rappresentano l’anticamera dello stress e del burn-out), oppure avere comportamenti de stressanti (come il toccarsi inconsapevolmente e ripetutamente i capelli attorcigliando nervosamente le ciocche intorno alle dita delle mani, sono sintomo di un sovraccarico d’ansia)…il nostro corpo ci parla, impariamo ad ascoltarlo! Il processo di consapevolezza con il sapersi guardare dentro non è facile ma una volta che viene intrapreso (e in questo un coach può fare tantissimo a supporto del suo cliente), si prende consapevolezza del nostro Io interiore e si incomincia a cambiare, accettandosi nella nostra unicità ed autenticità, iniziando ad essere empatici con noi stessi. Questi primi due passaggi si ricollegano ai primi due punti del modello di Goleman (conoscere e gestire le proprie emozioni e motivarsi)”.

Quanto influisce l’Intelligenza Emotiva nel trovare e perseguire i propri obiettivi?

Tantissimo!! Grazie all’allenamento della mia intelligenza emotiva, posso aver chiaro la mia motivazione intrinseca, ciò che io identifico (e che ripeto spesso ai miei clienti) con quel fuoco interiore che si realizza nel fare ciò che amo di più: tutto ciò si può concretizzare con il mio obiettivo nobile che, seppur davanti a mille difficoltà, persevero nel portarlo avanti perché ci credo! In questo punto si concretizza la parte della definizione di Goleman quando afferma nell’essere perseveranti anche di fronte alla sofferenza o alle frustrazioni, rafforzando la nostra empatia e la speranza perché crediamo in quello che stiamo facendo ed abbiamo fiducia nelle nostre capacità. Ma eppur vero che da soli non si va molto lontano, per portare avanti il nostro obiettivo è indispensabile avere anche chi ci sostiene, chi crede in noi, creando delle relazioni sociali in cui il gruppo/team condivide il nostro stesso percorso. E’ determinate quindi creare delle relazioni sociali sane dove regna la fiducia reciproca, l’armonia, la comunicazione, la condivisione e questo perché “l’unione fa la forza” ed insieme si può arrivare lontano, rimanendo interconnessi”.

 

L’Intelligenza emotiva può aiutare a migliorare le interazioni con gli altri?

“Per rispondere a questa domanda, mi ricollego alla conclusione della precedente, rispondendo che se c’è un’onesta e trasparente comunione di intenti, assolutamente sì. Purtroppo per esperienza personale, posso constatare che viviamo in una società molto opportunista, in cui si cerca sempre un proprio tornaconto; alcune persone si mostrano avare e non generose in termini di emozioni, si cerca di prevaricare sull’altro facendo proprie le idee le sue idee, c’è invidia, competizione ed arrivismo. La spontaneità, la trasparenza, la sincerità (valori per me fondamentali) non sono prerogativa di tutti! (ed anche in questo un percorso di alfabetizzazione emotiva farebbe bene un po’ a tutti). Ho quindi imparato a mie spese e in diverse occasioni della mia vita, che condividere il proprio Obiettivo Nobile, il tuo intento, non è un qualcosa che puoi fare col primo che capita! Ti devi fidare dell’altro, ti devi sentire accolta ed ascoltata, per aprirti, bisogna anche lasciarsi guidare da quella che io definisco la “mia vocina interiore” o intuito, per trovare davvero un gruppo dove regna l’armonia, la sincerità, la condivisione, la generosità, l’aiuto reciproco, la spontaneità che non sono solo parole vuote ma valori fondamentali che rafforzano le relazioni umane (gestione delle relazioni). Si parla tantissimo di leadership in questo ultimo periodo, ma trovare anche un leader che sappia davvero esercitare una leadership gentile, una leadership emotiva richiede un grosso lavoro da fare a monte, a livello aziendale, organizzativo e manageriale. Anche in questo caso un  Coach può supportare un manager aziendale nel creare quel processo di consapevolezza e di cambiamento performante da attuare all’interno del proprio team. Il lavoro da fare è tanto, ma se si inizia nel piccolo, seminando piccoli germogli su terreni fertili, la piantina è destinata a crescere in tutta la sua splendida bellezza” 

Un Health Coach può integrare Mindfulness ed Intelligenza Emotiva nel suo lavoro quotidiano con il suo cliente?

“Un Health Coach interviene prevalentemente sul benessere psico fisico del cliente; stimola, attraverso il percorso di coaching, un processo di consapevolezza nel cliente, innescando un processo creativo di esplorazione del proprio io e del proprio sentire, necessari per ritrovare la motivazione, per focalizzare il proprio obiettivo e per passare poi all’azione, con piccole azioni che sono insite nel processo di cambiamento che decide di mettere in atto. Questo permette anche al cliente di prendere consapevolezza delle proprie capacità e potenzialità, aumentando l’autostima e la fiducia in se stessi. Tra gli strumenti che si possono mettere a disposizione del cliente per facilitare il processo di consapevolezza, l’Health Coach può proporre un approccio basato sulla Mindfulness e/o sull’intelligenza emotiva, per  porre una maggiore attenzione alle proprie emozioni, a come queste vengono riconosciute e  gestite,  ponendo attenzione alla propria respirazione consapevole per scaricare i momenti di stress, per ritrovare la calma e la concentrazione, per capire dove le proprie emozioni si localizzano nel proprio corpo come ad  esempio con la tecnica del “body scan”. Sono due competenze importantissime che viaggiano su binari paralleli e che si completano a vicenda. In questo duplice approccio è fondamentale considerare anche l’aspetto olistico del cliente e di noi Health Coach. Noi siamo un tutt’uno, non siamo separati in compartimenti stagni, ma tutto il nostro essere, il nostro corpo, i nostri organi, il nostro cuore e il nostro cervello (coerenza cardiaca) comunicano tra loro, questo rappresenta l’Uomo nella sua unicità ed interezza. Questo approccio alla Mindfulness e all’intelligenza emotiva è utile non solo per il cliente ma anche per l’Health Coach: è importante tenere presente, infatti, che chi lavora e si approccia alle relazioni di aiuto, deve avere i giusti strumenti per proteggersi dallo stress e dal carico emotivo, in quanto anche Health Coach può facilmente andare incontro ad un sovraccarico emotivo e ad un aumento dello stress che se non ascoltato può sfociare nel burn out.

A conclusione di questa intervista, volevo ringraziare Nicoletta Viali, che ha curato quest’intervista, l’Associazione Italiana di Health Coach e il Presidente Francesco Di Coste per questo articolo di condivisione di questi temi a me molto cari.

Per ulteriori approfondimenti, lascio ai lettori i miei contatti email e la possibilità di consultare il mio sito   on line. Grazie a tutti!”

Maria Vittoria De Girolamo

de_girolamo_mavi@libero.it

de_girolamo_mv@inwind.it

www.mariavittoriadegirolamocoach.org

Nicoletta Viali – Ufficio Stampa AIHC

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